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Le cinemagraph di Jamie Beck

Le chiamano “cinemagraph” le fotografie che si muovono. Un po’ meno di un filmato e un po’ di più di una foto statica, le immagini di Jamie Beck e del grafico Kevin Burg si annoverano tra quelle foto di confine che “un po’ si un po’ no” si possono ammirare (fromme-toyou.tumblr.com). Fotografie in quanto catturano un momento, ma dilatato in una piccola porzione del fotogramma. Non sono “mosse”, si muovono come gif animate, ma solo quel tanto che basta per regalare alle immagini l’allure necessario a farle diventare ancora più glam e fashion.

La fotografa è infatti autrice di immagini legate al mondo della moda, e colpiscono soprattutto quelle immagini “rubate” che lasciano in sospeso una storia, come la mefistofelica Anna Wintour che gira il capo seguendo il movimento  della modella che sfila, ma soprattutto le immagini realizzate al di fuori del circuito fashion, di metropolitane che passano o taxi riflessi in una vetrina di un bar.

Dedicate esclusivamente al supporto video/monitor, queste immagini sono interessanti proprio per questa loro necessaria fruizione “differente”: è evidente che stampate perderebbero il movimento. Funzionerebbero comunque, ma non a quel livello narrativo. Il sentimento è del meraviglioso, quando ci approcciamo a tali immagini, già belle, curate e pensate, con quel qualcosa in più che stimola l’occhio impigrito di utenti inondati di immagini. Una scarpa che si muove, un alito di vento che soffia fra i capelli, un uomo in panchina che sfoglia il giornale. Come in una soggettiva, è così che dovremmo approcciarci a loro. Il particolare che si coglie proprio da un piccolo movimento. Con buona pace dei benpensanti che inorridiranno di fronte a tale manipolazione, perchè la fotografia, seppure arte/documentazione di confine, tende ad estremizzare le posizioni…penso all’HDR, salutato come nuovo codice visivo, per poi esser relegato fra chi “non sa scattare” e utilizza la tecnica per mettere un “cerotto” ad un’immagine venuta male. La fotografia è così, da prendere per come viene usata dai vari autori, che in quanto tali hanno tutto il diritto di scegliere cosa e come farci vedere qualcosa, così come sta poi al pubblico il diritto di giudicare il lavoro proposto.

Ma non credo che queste immagini faranno scandalo: sono fatte bene, realizzate secondo tutti i crismi imposti per foto “fashion”, anche fin troppo didascaliche, ma la facilità superficiale di chi guarda non sempre poi corrisponde ad una altrettanta facilità di esecuzione. Cade allora su morbido Jamie Beck col proprio lavoro, che reputo interessante proprio per il nuovo canale che utilizza. Se la storia della fotografia è anche una successione di scarti, di cio’ che non è fotografia, questo lavoro propone un altro tassello alla riflessione. E non è poco, in un periodo come quello che stiamo vivendo dove le immagini, seppur belle, appaganti o magnifiche, inondano la nostra vita in ogni momento e luogo della nostra vita. In un horror vacui così composto, ben vengano nuove proposte (che poi nuove non sono mai, perchè ci sarà sempre qualcuno a cui affibbiare una paternità pregressa) che si pongono in un genere specifico e lo rivalutano o lo amplificano.

 

Scrive di cinema, arte contemporanea e fotografia, ama il design e la storia, la filosofia e la politica. Dai film di Quentin Tarantino alle poesie di Doroty Parker, dai fumetti di Neil Gaiman ai libri di Umberto Eco, dalle opere di Damien Hirst alle analisi di Susan Sontag, ama contemporaneamente il passato e il futuro, mescolare l’alto col basso e divertendosi nel farlo. Ha capito due cose: quello che ricerca è il multiforme, e i “confini” non sono inviolabili.

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