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La Nostalghia di Marco Soellner

 

È la prima Home Gallery d’Italia dedicata esclusivamente alla fotografia. La Wo-Ma’n Gallery, al settimo piano di via Pietro Ruga 24, è un progetto di vita, nato dall’idea di Auronda Scalera e subito realizzato nei 60 metri quadri di casa di Wolfango De Spirito e Marta Rossato.  Espongono le foto in cucina, nella parete fotografica e nelle zone più personali, come il bagno e il guardaroba della camera da letto. E ti accolgono con un bicchiere di vino, una cioccolata calda e tutto quello che Marta, la padrona di casa, provvede a prendere tramite gruppi d’acquisto Bio. Andare a visitarli vuol dire entrare in una casa pensata per accogliere e stimolare gli avventori, fare due chiacchiere sulla fotografia o sulle loro passioni, e si puo’ facilmente incappare negli autori che espongono in questo spazio.

Abbiamo incontrato l’autore delle Polaroid esposte fino al 22 Dicembre, Marco Soellner, romano di trentacinque anni, artista a tutto tondo che si trova a suo agio (ma scommetto che preferirebbe dire a suo disagio) tra musica e video, immagini e parole. Tema del progetto, la Nostalghia (di Tarkoskiana memoria). Tarkoskij è il punto d’inizio del lavoro. Marco ci spiega perché.

 

 

“Mi ha sempre affascinato il discorso della nostalgia, e nel caso del film di Tarkoskij, di come l’artista esule cerchi le suggestioni che lo riconducano al suo paese. Mi sono chiesto quale fosse la differenza tra il film e la sensazione della nostalgia, quella condizione di vivere nel presente ripercorrendo gli itinerari passati e la conseguente sofferenza che si prova nel ricercarli. A Tarkoskij serviva riconnettersi alla realtà della campagna russa, in una strategia per non scomparire. È la “strategia antisparizione” e ha una grande importanza nell’esilio.
Io non ho vissuto un vero esilio, ma la sua sensazione si, perché viviamo una realtà culturale, sociale e politica che corrisponde a una sorta d’esilio. La disoccupazione e la precarietà nelle quali siamo costretti rappresentano, per me, qualcosa per riconnettermi a quello che sono: la mia Roma, le persone più strette. Non è uno stato geografico, ma uno iato culturale. Devo fare i conti col tempo da impiegare, da un contratto a termine all’altro, e questi momenti transitori sono fatti di silenzio e riflessione. E’ un approccio meditativo.
La memoria è uno stato sospeso, la vita dell’uomo si muove come una salamandra. Le polaroid sono fotografie che hanno già le caratteristiche che le avvicinano al passato. Nelle polaroid il tempo è sospeso, come nel mio percorso sulla nostalgia, che mi obbliga a un continuo confronto col tempo. Nel tempo maturano riflessioni, si vive un periodo di immobilità in cui si è costretti a pensare. Ho questa necessità e cerco ispirazione e forza da quello che conosco: la mia adolescenza, la mia gioventù, in un attraversamento cittadino della Roma periferica che ho vissuto e tutt’ora vivo”.

Il percorso intrapreso da Marco è un percorso concentrico. Si muove in periferia, in quella Roma che non si vede nelle cartoline, per arrivare all’unica appendice del centro, il Tevere, per poi tornare di nuovo in periferia, da Pomezia alle campagne dell’Ardeatina, in un continuo girovagare tra luoghi e volti che lo riportano al passato.

 

 

È una ricerca sul marginale, perché “Anche io mi sento marginale, e ricerco la marginalità. Vivere in periferia vuol dire crescere in una marginalità geografica che riguarda, per forza di cose, quella individuale. Come la sensazione che vivo spesso, quella claustrofilia che mi costringe a rigettare la città e il suo centro: preferisco un luogo lontano che però sento mio e che mi appartiene”.

Ogni foto esposta è corredata di racconto. Ogni luogo è specificato, corredato di cartoncino scritto a mano. E, cosa ancora più interessante per uno come Marco Soellner che gioca col tempo, è che le polaroid esposte sono del progetto “The Impossible Project”, e cambiano con lo scorrere del tempo e l’esposizione alla luce. In una sorta di cortocircuito meta-fotografico, possiamo vedere l’originale in pannelli che riproducono lo scatto appena sviluppato, e accanto la polaroid che ha virato. Luoghi e volti della vita che lentamente svaniscono di nuovo, la memoria conservata in immagini labili cui il corredo didascalico probabilmente sarà l’unica traccia lasciata dallo scorrere incessante del tempo e della luce. 

Scrive di cinema, arte contemporanea e fotografia, ama il design e la storia, la filosofia e la politica. Dai film di Quentin Tarantino alle poesie di Doroty Parker, dai fumetti di Neil Gaiman ai libri di Umberto Eco, dalle opere di Damien Hirst alle analisi di Susan Sontag, ama contemporaneamente il passato e il futuro, mescolare l’alto col basso e divertendosi nel farlo. Ha capito due cose: quello che ricerca è il multiforme, e i “confini” non sono inviolabili.

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