La settimana scorsa siamo stati testimoni di un bel cambiamento nel mondo dell’arte, o meglio nei modi di fruizione che si aprono grazie alle nuove tecnologie. Google ha infatti creato un universo parallelo nel quale noi internauti possiamo scoprire alcune delle sale più importanti dei musei più prestigiosi al mondo.
Esperienza virtuale, vero, ma con tutti i pro e i contro che la tecnologia porta con sé.
La possibilità di camminare, seppure virtualmente, fra le stanze dell’Hermitage (come del Reina Sofia, o degli Uffizi, del Moma come della National Gallery di Londra, tanto per citarne qualcuno) e con un solo click accedere alle informazioni sugli autori, ai video o agli ingrandimenti delle opere non è poco, ma a questo si aggiunge una possibilità nuova che guarda al presente e al futuro legato al mondo virtuale: le gallerie. Cliccando in basso infatti potete accedere, grazie all’account di Google se già ne possedete uno o semplicemente creandone uno ad hoc, a una galleria personalizzabile sia dal punto di vista delle immagini (salvare ingrandimenti con possibilità di inserire note personali sull’immagine) che dal punto di vista contenutistico (creare ex novo un museo del tutto personale, raggruppando le opere per aree tematiche, colori o qualsivoglia idea o connessione vi venga in mente).
Questi due aspetti, quello visuale e quello contenutistico, non sono nuovi nel panorama di internet, perchè già Youtube aveva aperto questa possibilità e infatti sono milioni gli utenti che ogni giorno postano un proprio video con una propria intrinseca poetica e visione del mondo. Basti pensare, per esempio, ad un tema come quello della Shoah, che ha visto il fiorire di migliaia di video che integrano musica e fotografia, inserendole per sempre in un mondo di bit che non potranno (almeno a breve) essere eliminati dalla memoria mondiale. Dunque, come Youtube, anche il progetto di Google Art Project si delinea uno strumento indispensabile sia di studio che di interesse, di approfondimento e di creazione, nonché di memoria.
La bellezza si dispiega in un modo che fino a qualche anno fa era impensabile: gli ingrandimenti offerti dalle macchine digitali ormai superiori alla pellicola permettono a noi tutti di perderci in un’esperienza fino ad ora riservata a pochi collezionisti e studiosi, come quella di leggere le singole pennellate di un Manet o di vedere (finalmente, VEDERE) le pieghe, le grinze, le sfumature, le matericità dei dipinti. Aperto un nuovo canale visivo, segue subito a ruota quello contenutistico: le opere sono personalizzabili anche solo grazie agli accostamenti che ogni singolo utente può creare con la sua galleria personale, condivisibile in tutti i maggiori social network, insomma, una vera e propria “opera aperta” continuamente modificabile e aggiornabile, in linea con le attuali correnti di pensiero legate al mondo di internet. Google è sempre più un gigante, e a mio avviso siamo solo agli albori di una società culturale in grado di esprimere al meglio una globalizzazione intelligente e “pensata”.
L’opera d’arte non è più legata a quell’ “hic et nunc” tanto caro alle analisi di Benjamin e posteriori, e tutta la teoria che fino ad ora è stata scritta basandosi su quelle analisi va a farsi benedire. Il collezionismo diventa un feticcio e chiunque sia affetto dalla sindrome di accumulazione puo’ appagarla semplicemente con un click. Il collezionismo diventa digitale con buona pace dei passatisti. Sia ben chiaro, nulla cambierà rispetto alla meraviglia di trovarsi di fronte ad un vero quadro originale inserito nell’atmosfera del museo che lo ospita e a quella specifica della città che li contiene entrambi. L’opera d’arte originale mantiene la sua aurea, ma forse in un mondo post-postmoderno (ahi!) come il nostro mantiene ormai solo quella.